I comportamenti dipendenti non riguardano più solo l’abuso di sostanze ma le evidenze cliniche stanno dimostrando che esistono gruppi di comportamenti ripetitivi che prescindono dall’utilizzo di sostanze ma sono in grado di attivare sintomi che sembrano comparabili a quelli prodotti dai disturbi da uso di sostanze.
Il concetto di dipendenze comportamentaliè un concetto nuovo tanto che si parla di new addiction; è solo nel 2013, con la quinta edizione del Manuale diagnostico e statistico ei disturbi mentali (DSM V) che al gruppo delle diagnosi psichiatriche ufficiali delle varie dipendenze da sostanze si è aggiunta la denominazione di “dipendenze comportamentali” con un approfondimento specifico solo per il disturbo del gioco d’azzardo. Le diverse sindromi comportamentali vengono indagate, da un punto di vista clinico, solo da pochi anni per il fatto che derivano da attività lecite e comunemente accettate ma sulle quali l’individuo perde il controllo del comportamento. A oggi, però, nonostante gli studi e le evidenze cliniche, non esiste una classificazione ufficiale che permette di inquadrare queste condotte in precise categorie diagnostiche ad eccezione del disturbo dal gioco d’azzardo. Per le altre patologie non vi è ancora sufficiente letteratura per inquadrarli come disturbi mentali. Mancano anche strumenti diagnostici validati.
Le “nuove dipendenze”, o “dipendenze senza sostanza”, si riferiscono a una vasta gamma di comportamenti anomali: tra esse possiamo annoverare il gioco d’azzardo patologico, lo shopping compulsivo, la new technologies addiction (dipendenza da cellulare, serie TV, internet, social network, videogiochi…), la dipendenza dal lavoro (workaholism), da sesso (sex-addiction) e dalle relazioni affettive, e alcune devianze del comportamento alimentare come l’ortoressia (ossessione per il mangiare sano) o dell’allenamento sportivo come la sindrome da overtraining.
Particolarmente rilevante è la trasversalità anagrafica, sociale ed economica delle nuove dipendenze che coinvolgono bambini, adolescenti, adulti, anziani, maschi e femmine di ogni classe sociale.
Mark Griffith (2005) definisce una dipendenza comportamentale sulla base di sei criteri: preminenza (il comportamento tende ad assumere la maggiore rilevanza nella vita della persona, a discapito di altri pensieri, sentimenti e azioni), influenza sul tono dell’umore (conseguenze emotive del comportamento di dipendenza), tolleranza (intensificarsi del comportamento per indurre effetti di sufficiente intensità), sintomi da astinenza (stati d’animo o conseguenze fisiche spiacevoli, conseguenti dalla messa in atto del comportamento), conflitto (conflitti interpersonali derivanti dalla dipendenza instauratasi o incompatibilità con altri compiti o attività personali) e recidiva (presenza di ricadute plurime nel disturbo dopo fasi di sospensione).
Il carattere distintivo della dipendenza comportamentale resta sempre e comunque l’incapacità dell’individuo di mitigare il comportamento nonostante le conseguenze negative che osserva nel suo funzionamento quotidiano. I comportamenti e i processi legati alla dipendenza comportamentale sono volti a dare piacere, rappresentano spesso una via di uscita dalla sofferenza emotiva o fisica e sono caratterizzati dalla incapacità a controllare la messa in atto del comportamento e l’insorgere di importanti conseguenze negative per la vita della persona. Spesso siamo in presenza di distorsioni dello stile cognitivo, comportamenti compulsivi e problematici, ossessioni, disturbi di personalità, difficoltà relazionali e affettive, isolamento e ritiro sociale. Ansia, depressione, pensieri a contenuto ossessivo, compulsioni, compromissione della qualità della vita e delle capacità critiche e ideative, basso livello di autostima, centralità del comportamento dipendente sono comuni alle diverse dipendenze comportamentali.
Come per ogni forma di dipendenza prevenire è fondamentale. Lo è in particolar modo con gli adolescenti che sono una categoria a rischio per ogni forma di dipendenza. Esse si insinuano in quella particolare fase della crescita che è l’adolescenza, durante la quale i ragazzi devono far fronte a nuove sfide, soddisfare nuove richieste ambientali e costruire una nuova identità. Per Caretti-La Barbera (Le nuove dipendenze: diagnosi e clinica, 2009) “molto frequentemente, la scelta del comportamento additivo finisce con il veicolare tutta la conflittualità del giovane nei confronti del mondo degli adulti e dei genitori in particolare, finendo per caratterizzarsi come fittizio percorso di autonomizzazione e di differenziazione”. Le dipendenze comportamentali possono essere estremamente pericolose durante l’adolescenza, poiché esse possono condurre a esiti notevolmente negativi in età adulta. Iniziare a giocare d’azzardo in adolescenza è associato a un incremento della gravità di problemi psichiatrici, familiari e sociali e di abuso di sostanze, di problemi cognitivi, e a una minore soddisfazione nei confronti dell’attuale condizione di vita. Recenti studi dimostrano che le dipendenze possono influenzare negativamente i tratti di personalità degli adolescenti e la loro instabilità emotiva e l’impulsività. Nello specifico all’aumentare delle caratteristiche di intelligenza emotiva diminuisce la vulnerabilità alle dipendenze e, al contrario aumentano ansia e isolamento sociale (Oskenbay et al., 2015).
Le strategie di prevenzione non possono ricalcare quelle già percorse con i problemi derivanti dall’uso di sostanze: non si possono organizzare campagne di informazione contro l‘uso di cibo sano, lo shopping o l’uso del cellulare, come invece si fa con l’alcol e il fumo. Gli interventi più efficaci sono quelli che si integrano nel percorso educativo della famiglia e della scuola con azioni mirate a potenziare le capacità autoriflessive e di problem-solving, a contenere atteggiamenti impulsivi e ad elevare i livelli di controllo genitoriale e degli insegnanti.
Il percorso terapeutico individuale è finalizzato a rendere possibile al paziente la conoscenza delle caratteristiche della sua dipendenza , ad individuare e gestire al meglio le situazioni ad alto rischio ricaduta e a attuare comportamenti alternativi più adatti, lavorando in particolare sulla motivazione e sull’autoefficacia. L’obiettivo è la prevenzione di future ricadute. Il trattamento terapeutico individuale deve essere preso in considerazione nell’ambito di un’azione integrata che riguardi oltre che l’individuo anche il contesto sociale e familiare. Accanto ad interventi di psicoterapia possono essere necessari interventi di sostegno e orientamento. Buoni risultati si possono ottenere con la terapia di gruppo, soprattutto nel caso di problemi di dipendenza caratterizzati da sintomi di natura ansiosa o depressiva e situazioni di difficoltà relazionali.
Dott. Cristofaro Di Maio, psicologo